sabato 20 settembre 2025

L'ombra della mezzaluna. la tragedia del Sacco tuco di Sorrento e Massalubrense nel 1558



        
​Il XVI secolo fu un’epoca di scontri titanici nel Mediterraneo, un vasto campo di battaglia dove la potenza asburgica e l'Impero Ottomano si contendevano il dominio dei mari. All'interno di questo scenario di "guerra santa" e ambizioni geopolitiche, l'Italia meridionale, all'epoca un possedimento spagnolo, divenne un obiettivo costante per le temute scorrerie corsare. Tra gli episodi più dolorosi, la devastazione della Penisola Sorrentina nel 1558 si staglia come un monito storico.

​L'incursione non fu un attacco isolato di pirati, ma parte di una più vasta manovra strategica. L'Impero Ottomano, guidato dal Sultano Solimano il Magnifico, intendeva alleggerire la pressione sugli alleati francesi, impegnati nel conflitto contro la Spagna degli Asburgo (la Guerra d'Italia del 1551-1559).
​Nell'aprile del 1558, una gigantesca flotta salpò da Costantinopoli. Il comando fu affidato all'Ammiraglio Pialí Pascià (Piyale Paşa), uno dei più abili capi navali del Sultano, noto per le sue campagne aggressive. La flotta, di circa 100-150 galee e decine di migliaia di uomini, navigò nel Mediterraneo con l'obiettivo di destabilizzare i possedimenti spagnoli.
​La flotta ottomana apparve nelle acque del Golfo di Napoli nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1558. Le navi, dopo aver costeggiato la Penisola, si divisero, una parte si concentrò su Massa Lubrense e l'altra, la maggiore, su Sorrento.
​I corsari sbarcarono rapidamente, probabilmente sfruttando l'oscurità e la sorpresa. La Penisola, nonostante le difese costiere preesistenti (come le torri di avvistamento), si rivelò impreparata.
​Sorrento, pur protetta da una possente cinta muraria (in gran parte di origine aragonese), cadde con una facilità sconcertante. Le cronache locali, in particolare quelle tramandate dal gesuita Pietro Anello Persico per Massa Lubrense e ricostruite da studiosi come Bartolommeo Capasso per Sorrento, riportano la drammatica ipotesi del tradimento.
​Si narra che un servo turco (o schiavo, convertito con la forza o meno), che serviva una famiglia benestante all'interno delle mura, avesse agito come spia e avesse aperto le porte della città agli invasori. Questo aneddoto, per quanto controverso, catturò l'immaginario popolare, offrendo una spiegazione umana e traumatica a un fallimento difensivo altrimenti inspiegabile.
​Una volta all'interno, i soldati di Pialí Pascià si scatenarono in un brutale saccheggio. Per giorni, le città furono messe a ferro e fuoco. Furono devastati edifici civili e religiosi, rubati oggetti di valore e distrutte le riserve alimentari.
​La resistenza di Massesi e Sorrentini, sebbene coraggiosa, fu inutile contro la superiorità numerica e la ferocia ottomana. 

​La cifra più agghiacciante del Sacco è quella relativa ai prigionieri. L'obiettivo primario dei Turchi non era la conquista territoriale permanente, ma il bottino e, soprattutto, gli schiavi.
​Vittime Uccise: Le stime parlano di circa 1.000 persone trucidate in totale tra Sorrento e Massa Lubrense durante le razzie.
​ Il numero dei catturati varia a seconda delle fonti, ma si attesta tra i 3.000 e i 4.000 abitanti della Penisola.
​Uomini, donne e bambini furono incatenati, stipati nelle galere e deportati a Costantinopoli, dove vennero venduti nei mercati degli schiavi o impiegati nelle galere ottomane.
​Terminata la razzia, Pialí Pascià ripartì. L'attacco alla Penisola Sorrentina fu solo un'anteprima del massacro che si compì poche settimane dopo. La stessa flotta si diresse verso le Isole Baleari, attaccando e distruggendo Ciutadella a Minorca nel luglio 1558, un evento che nella memoria spagnola è conosciuto come "l'Any de sa Desgràcia" (l'Anno della Disgrazia).
​Le conseguenze a lungo termine del Sacco furono l'esodo di molte famiglie e la rovina economica. Molte chiese e strutture dovettero essere ricostruite.
​La reazione del Vicereame spagnolo fu lenta ma decisiva:
​Nuove Fortificazioni: Il Viceré Don Parafan de Ribera (Duca d’Alcalà) promosse un vasto piano di potenziamento delle Torri costiere di avvistamento in tutto il Regno di Napoli. Queste strutture, essenziali per segnalare in tempo l'arrivo dei corsari, divennero un elemento distintivo del paesaggio costiero campano, molte delle quali sono visibili ancora oggi.
​La memoria dell'evento è sopravvissuta grazie al lavoro di storici locali, come Bartolommeo Capasso, che nel suo volume "Il Tasso e la sua Famiglia a Sorrento" (1866) ne ricostruì gli orrori, e Pietro Anello Persico per Massa Lubrense.
​Oggi, il 1558 è un capitolo drammatico spesso sottovalutato, e a Sorrento non esiste una lapide o un monumento ufficiale per ricordare i caduti. Tuttavia, la leggenda del traditore e la presenza delle antiche torri costiere, erette per rispondere a quella terribile minaccia, sono la testimonianza silenziosa e duratura di uno dei giorni più neri della storia della Penisola Sorrentina.

martedì 9 settembre 2025

il Castello Colonna


Il Castello Colonna, situato a Piano di Sorrento, è una delle più affascinanti e imponenti strutture storiche della costiera sorrentina. La sua storia, avvolta in parte da leggende, è intimamente legata a un passato glorioso e, soprattutto, ai resti di una delle più antiche e importanti abbazie della zona, l'Abbazia di San Pietro a cermenna.
 L'area dove sorge l'abbazia era un luogo di culto già in epoca preistorica, probabilmente dedicato alla "Grande Madre del Mediterraneo". Con l'avvento dei Romani, il culto fu sostituito da quello della dea Cerere, divinità della terra e della fertilità. Alcuni studiosi ipotizzano che il nome "Cermenna" possa derivare da "Cerere" o da "Cerri", per via di un bosco di querce, oppure dalla ninfa Carmenta, protettrice delle donne e delle sorgenti.
 Con l'avvento del cristianesimo, la venerazione per la Vergine Maria soppiantò i culti pagani. Il nome "Colli di San Pietro" deriva proprio dall'antica abbazia dedicata a San Pietro che vi sorgeva. Il nome locale "N 'coppa l'Abbazia" (sopra l'Abbazia) testimonia l'importanza storica del luogo.
​L'abbazia di San Pietro a Cermenna fu un'istituzione molto importante nel XIII secolo.​Si ritiene che il complesso religioso fosse abitato da monaci benedettini o basiliani.​L'abbazia era collegata all'approdo dello "Scaricatore", un importante scalo marittimo nel Medioevo, utilizzato anche dai pellegrini diretti a Roma o in altri luoghi santi.​L'abbazia fu dismessa e abbandonata nei primi anni del '700.
​Una parte dei beni sacri, tra cui una pala d'altare raffigurante la Vergine del Rosario, fu trasferita nella chiesa della Santissima Trinità a Piano di Sorrento. 
Si ritiene che proprio da qui derivi la tradizione della processione della Vergine del Rosario ai Colli di San Pietro.
Tuttavia, dopo essere stata devoluta alla Corona Reale nel 1791, la struttura cadde in un progressivo stato di abbandono.
L'edificio che vediamo oggi è frutto di un progetto del Conte Eduardo Colonna Doria Del Carretto di Paliano. Egli acquistò la proprietà, che versava in stato di rovina, nel 1850 e decise di erigere sulle ceneri dell'antica abbazia un maniero. I lavori di costruzione si conclusero nel 1872, dando vita al Castello Colonna che oggi domina il paesaggio di Piano di Sorrento. Nonostante le alterazioni subite, il castello conserva ancora elementi tipici dell'architettura militare medievale, come le sue massicce mura in pietra e le torri di avvistamento.

Oggi, il Castello Colonna non è accessibile al pubblico, essendo di proprietà privata. Tuttavia, la sua imponente figura domina il paesaggio di Piano di Sorrento, testimoniando un passato ricco di storia e fascino. Le sue mura sembrano raccontare storie di monaci, cavalieri e marinai, conservando il ricordo dell'antica Abbazia di San Pietro a Cermenna.
Il castello rappresenta un importante patrimonio storico e culturale per la comunità locale e per la storia della penisola sorrentina. La speranza è che in futuro possa essere valorizzato e reso accessibile, permettendo a tutti di immergersi nella sua affascinante storia.

domenica 7 settembre 2025

Carlo Amalfi

Carlo Amalfi (1707-1787)
Carlo Aniello Detio Amalfi, meglio conosciuto come Carlo Amalfi, è stato un pittore italiano, attivo principalmente a Napoli e nella sua città natale, Piano di Sorrento. Sebbene la sua figura sia meno nota rispetto ai maestri del suo tempo, è stato un artista di notevole talento, specializzato soprattutto nella ritrattistica e nelle scene di genere.
Dettagli Biografici e Formazione:
  Date di nascita e morte: Nacque a Piano di Sorrento il 5 febbraio 1707 e morì a Napoli nel 1787.
  Formazione: Fu allievo di Sebastiano Conca, detto "Il Gaetano", ma il suo stile risentì anche delle influenze di artisti napoletani come Francesco Solimena e, soprattutto, Gaspare Traversi. La sua pittura sacra è caratterizzata da un accademismo provinciale, mentre nella ritrattistica e nelle scene di genere rivela una maggiore libertà espressiva e un realismo quasi caricaturale, mutuato proprio da Traversi.
Opere e Lavori Principali:
 Carlo Amalfi fu un ritrattista apprezzato e ricercato. Lavorò per importanti famiglie napoletane, tra cui i duchi Serra di Cassano.
 Tra le sue collaborazioni più note, si annovera quella con il principe Raimondo di Sangro, figura di spicco nella nobiltà e nella Massoneria napoletana. Amalfi ritrasse il principe e il figlio Ferdinando, anche se il rapporto non è ampiamente documentato.
 
   "Il gioco delle carte": Un'opera di genere, in cui il legame con Gaspare Traversi è particolarmente evidente nelle espressioni realistiche e quasi grottesche dei personaggi.
    "La morte di Santa Chiara": Pala d'altare dipinta per la Chiesa conventuale di Santa Chiara a Turi (Bari).
    Ciclo di affreschi a Castel Capuano: Nel 1752, in collaborazione con il "quadraturista" Giovan Battista Natali, affrescò due saloni di Castel Capuano a Napoli, inclusa la Sala del Gran Consiglio del Tribunale, dove dipinse un ritratto di Carlo di Borbone.
    Opere a Sorrento: Numerose sue tele sono conservate in diverse chiese e musei della penisola sorrentina, tra cui la Basilica di Sant'Antonino, la Congrega dei Servi di Maria e il Museo Correale di Sorrento. Tra queste, si menzionano una "Sacra Famiglia" (1769) e una serie di sei ovali raffiguranti i compatroni di Sorrento.
Curiosità :
 La vita di Carlo Amalfi fu avvolta da una leggenda romanzesca, narrata in una novella popolare, che lo vedrebbe protagonista di una vicenda di gelosia professionale che lo portò ad abbandonare un suo rivale su uno scoglio. Tuttavia, tale racconto non è supportato da fonti documentarie certe.
 La sua figura ha ricevuto una limitata fortuna critica per lungo tempo, ma studi recenti, come la monografia di Immacolata Aiello del 1989, hanno contribuito a valorizzare il suo ruolo nel panorama pittorico napoletano del Settecento.


sabato 6 settembre 2025

Gaetano Amalfi


Gaetano Amalfi, nato a Piano di Sorrento il 26 maggio 1888, è una figura che incarna la passione per il mare e per la cultura. In un'epoca in cui la navigazione era un'arte e la documentazione storica un mestiere di nicchia, Amalfi riuscì a unire entrambe le vocazioni, lasciando un'eredità preziosa fatta di scritti e di racconti. La sua vita, sebbene non lunghissima (morì prematuramente), fu ricca di avventure intellettuali e di ricerche meticolose.

​Un Marinaio con l'Anima dello Storico

​Il contesto in cui Gaetano Amalfi crebbe fu fondamentale per la sua formazione. Piano di Sorrento, con la sua tradizione marinara secolare, gli infuse l'amore per il mare e il viaggio. Tuttavia, il suo interesse non si fermò alla navigazione. A differenza di molti suoi coetanei, Amalfi era affascinato dalla storia e dalle tradizioni popolari. Dedicò la sua vita alla ricerca di testimonianze orali e scritte, diventando un vero e proprio etnografo del suo tempo.

​Le sue opere sono un'eredità straordinaria di questo lavoro. Tra i suoi scritti più noti, spicca la sua collaborazione con il "Corpus di leggende e tradizioni popolari d'Italia", una delle più importanti raccolte di folclore italiano. . Amalfi contribuì a questo progetto con una vasta gamma di materiali raccolti nella sua zona, documentando fiabe, proverbi, canti e credenze che altrimenti sarebbero andati persi.

​L'importanza dei suoi lavori

​L'opera di Amalfi non si limitò alla semplice raccolta. Egli analizzò e classificò i materiali con un approccio quasi scientifico, cercando di comprendere le radici storiche e sociali delle tradizioni che studiava. Questo lo rende una figura di rilievo per gli studiosi del folclore italiano. I suoi scritti offrono uno spaccato autentico della vita e della mentalità delle comunità locali tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo.

​In particolare, il suo lavoro è una fonte primaria per chiunque voglia studiare la cultura marittima e contadina del Meridione italiano. Amalfi riuscì a cogliere l'essenza di un mondo che stava cambiando rapidamente, preservando la memoria di un passato fatto di rituali, superstizioni e saggezza popolare.

​Un Esempio di Dedizione

​La vita di Gaetano Amalfi fu un esempio di dedizione e passione. Morì prematuramente, ma il suo contributo rimane un punto di riferimento per gli studi etno-antropologici in Italia. La sua capacità di unire la pratica della navigazione, tipica della sua terra d'origine, con la profonda ricerca storica e culturale lo rende una figura unica e affascinante.

​Oggi, i suoi scritti sono conservati in vari archivi e biblioteche e continuano a essere studiati da ricercatori e appassionati. La sua storia ci ricorda che l'esplorazione non riguarda solo la scoperta di nuove terre, ma anche quella delle radici culturali e delle storie che ci hanno plasmato.

venerdì 5 settembre 2025

Tracce Romane a Sant'Agnello


Le tracce di Roma a Sant'Agnello: un passato sommerso e visibile.
​Sant'Agnello, comune incastonato nella splendida penisola sorrentina, non è solo una meta turistica moderna, ma un luogo che affonda le sue radici nell'antichità, come testimoniano i numerosi reperti romani emersi nel corso del tempo. Sebbene non vi siano scavi archeologici imponenti come quelli di Pompei, il territorio è disseminato di indizi che rivelano la sua importanza strategica e residenziale in epoca romana, in particolare come sede di lussuose ville marittime.
​La costa e le ville marittime
​Il litorale di Sant'Agnello, a picco sul mare, era la location ideale per la costruzione di ville signorili da parte dell'aristocrazia romana. I ritrovamenti archeologici più significativi si concentrano proprio in questa zona.
​ All'interno della tenuta Il Pizzo, in una proprietà privata, sono stati rinvenuti resti di un'antica villa romana. In particolare, sono visibili i resti di due discese a mare di epoca romana e di un approdo, oltre a tracce di una villa nel seminterrato della casa padronale. Questo testimonia come le residenze dell'epoca fossero pensate per un'accesso diretto e privilegiato al mare, spesso dotate di peschiere e ninfei.
​ Nei pressi dell'Hotel Corallo, che sorge sul luogo di un antico convento, e nella zona della Marinella, sono stati scoperti resti di un ninfeo e di una peschiera romana. Questi complessi marini erano elementi distintivi delle ville romane costiere, utilizzati per l'allevamento di pesci e per creare un ambiente di lusso e relax. Si ipotizza che la zona del convento dei Cappuccini, anch'essa a Sant'Agnello, ospitasse una di queste ville, i cui imponenti resti di piscine e ninfei sono ancora visibili. Lungo il muro di cinta della proprietà del Cocumella sono ancora presenti tracce di muratura in opus reticulatum (un tipo di muratura romana) risalente a circa duemila anni fa.
​Il rione Maiano e i reperti storici
​Anche l'entroterra di Sant'Agnello conserva testimonianze del suo passato romano. Nel rione Maiano, noto per la produzione di mattoni rossi, sono stati rinvenuti reperti archeologici che risalgono sia all'epoca greca che a quella romana. Questo suggerisce che l'area fosse abitata e produttiva già da tempi molto antichi. La presenza di una torre detta "La Forma" è un altro indizio della continuità storica del luogo.
​L'importanza dei ritrovamenti
​Questi ritrovamenti, seppur frammentari, sono di fondamentale importanza perché arricchiscono il quadro storico della penisola sorrentina in epoca romana.  Sant'Agnello non era un semplice villaggio, ma parte integrante di un sistema residenziale e produttivo che gravitava intorno all'impero. Le ville costiere non erano solo dimore, ma vere e proprie aziende agricole che producevano olio, vino e altre derrate alimentari, contribuendo all'economia del territorio.
​Oggi, i resti romani di Sant'Agnello sono un tesoro nascosto, spesso inglobati in costruzioni moderne o situati in proprietà private. Tuttavia, la loro presenza continua a narrare una storia millenaria, confermando il profondo legame della cittadina con le sue radici antiche.

le 22 tombe della necropoli di via San Martino.

dal Volume Surrentum/Sorrento. Scheda relativa alla Necropoli di via San Martino firmata da Mario Grimaldi
Dal maggio al luglio 2003 sono stati effettuati lavori preliminari alla costruzione di un moderno edificio da adibire a parcheggio (Parcheggio AICHER). L’area indagata si estende per mq 961,52.
Descrizione dei ritrovamenti = Nello scavo del 2003 presso via San Martino è stata individuata un’ampia area di sepolture, con la presenza di un recinto funerario di separazione di un nucleo di tombe (fig. 1). All’interno del recinto (figg. 2-4) sono state rilevate 22 tombe delle quali 8 ad incinerazione, 1 ad ustrinum (T21), 1 ad enchytri-smos (T19) e 12 ad inumazione del tipo a a fossa semplice, fossa con copertura piana e a fossa con copertura a
cappuccina (fig. 5). Un pilastrino rettangolare (cm 30 x 47 x 20) costruito con blocchi di tufo e posto in posizione centrale rispetto tutta l’area del recinto era il segnacolo di una prima urna cineraria deposta, probabilmente di vetro contenuta entr una cesta in piombo di cui rimane solo il coperchio (figg. 6-8).
Sono state rinvenute due columelle quale sagnacolo (fig. 9). La columella C2 (fig. 10), priva del disco faccia superiore, reca un’iscrizione rubricata con la seguente dicitura:
Success
Brasidi
Serva
ann(is)
XX
Questa lase di deposizione appare stratigraficamente anteriore all’evento eruttivo del 79 d.C., poiché coperta da uno strato rimescolato di pomici e ceneri ad esso riferibile.
La columella C1 (fig. 11), allettata al di sopra di questo strato rimescolato di pomici e ceneri e quindi post 79 d.C., conserva il disco superiore ed appare di fattura più rozza della C2. Reca anch’essa un’iscrizione con la seguente dedica
L(ucius) Brasidi=
Us Ampl=
iatus vi
xit an(nis) XXXX
Le due iscrizioni si riferiscono rispettivamente a una serva di un personaggio appartenente alla gens Brasidia,
gentilizio raramente documentato ma attestato altrimenti a Surrentum, e a un altro individuo della stessa famiglia,
probabilmente un liberto, confermando tra l’altro una continuità di uso e di vita immediatamente post eruzione del
79 d.C. con la seconda deposizione. La pratica dell’incinerazione è stata rilevata in entrambe le sue tipologie che all’esterno del recinto. a bustum e ad ustrinum – sia all’interno
Tra le tombe ad inumazione appare di particolare rilevanza la tomba 10 (T10), posta al centro dell’area del recinto ricoperta da un imponente tumulo, composto da pietre di varia forma e dimensione; essa presenta una copertura cappuccina con otto tegole (fig. 12) poste su una duplice spalletta di pietre ed appoggiate sul lato sud (dove en posto il capo) ad un grande blocco di 4 calcare intenzionalmente sagomato. Al di sotto della copertura a cappu cina l’inumato/inumata giaceva in una cassa di piombo con un coperchio munito di due grossi anelli (fig. 13), F l’imbrigliamento ed il sollevamento del sarcofago (misure massime posta nella bocca del defunto, in questo caso è stata ritrovate xx 0,35); la moneta, solitame be dello scheletro figg. 14, 15).
L’amica prof Marici Magalhaes, massima esperta di epigrafia sorrentina, da me interpellata per l’iscrizione e il gentilizio Brasidia, conferma la rarità e testualmente dice:
Se guardi il mio libro alla pagina 271 (Indice Onomastico – NOMINA), vedrai che io stessa ho trovato un’iscrizione di una signora BRASIDIA, L. F. (Brasidia, figlia di Lucius), ossia una donna ingenua, nel CIL X, 721, Surrentum. 
Bisogna vedere nel CIL X 721, da dove proviene l’iscrizione (quale città della Penisola), e non ci sono altre attestazioni in Penisola.
E quindi ormai sapiamo che esisteva un piccolo nucleo (per ora) della gens Brasidia a Sorrento.
Credo io che non troverai altri membri di questa gens nelle città della Lega (Magalhães, Surrentum, p. 256, n. 8 – Brasidia).
Nello stesso periodo proto-augusteo si pone anche un’altra iscrizione proveniente da Surrentum (CIL X 721), che attesta un monumento funerario fatto eseguire da Brasidia L. f per sé, per il figlio M. Tanonius M. f e per i suoi cognati.
assai interessanti nella nostra prosopografia sono gentilizi rarissimi come Brasidius (L.), Curatius (C.) (Fig. 12)5~, Dolutius (M.) (Fig. 13)59, Eiedius, Elemonius/Hef mnnius (C.) (Fig. 14)60, Lasuccius61, Otincius, Tarul(l)ius e UrinaetJS
Gens Brasidia: senza confronti nelle altre regiones dell’Italia, trova l’unica altra attestazione a Clusium con un A. Pras(i}na Ar(unlis filius} (CIL Xl 2280) ed è forse originario dall’etrusco prasin{a] e Prasna (SCHUUE 1904 [rist. 1966], p. 91 );

giovedì 4 settembre 2025

la cantieristica navale a Piano di Sorrento

La cantieristica a Piano di Sorrento, in particolare nel borgo di Marina di Cassano, ha un'eredità storica ricca e dettagliata, legata a maestranze e famiglie che ne hanno fatto un polo d'eccellenza per secoli.
I maestri d'ascia e le famiglie storiche
La storia della cantieristica a Piano di Sorrento è indissolubilmente legata alla figura dei maestri d'ascia, artigiani che con la loro sapienza costruivano e riparavano imbarcazioni in legno.
Tra le famiglie più celebri che hanno dominato questo settore, spiccano:
 * Famiglia Aprea: la tradizione degli Aprea come maestri d'ascia risale a oltre due secoli fa. L'attività, iniziata a Sorrento, ha avuto un forte legame anche con Piano di Sorrento. Il primo maestro d'ascia della famiglia, Cataldo Aprea, ha posto le basi per un'arte che è stata tramandata di generazione in generazione. Ancora oggi, la loro eredità vive in aziende che realizzano i celebri "gozzi sorrentini", sia con tecniche tradizionali che con moderne innovazioni.
 * Famiglia Maresca: anche la famiglia Maresca vanta una tradizione secolare nella costruzione navale. Un nome di spicco è quello di Castellano Maresca, considerato uno dei più importanti costruttori navali sorrentini dell'Ottocento, attivo tra il 1851 e il 1877. Le sue abilità erano riconosciute per la costruzione di un gran numero di navi. Il suo lavoro e quello della sua famiglia hanno contribuito a consolidare la reputazione dei cantieri di Piano di Sorrento.
 * Famiglia De Rosa: nel XVIII secolo, i De Rosa erano un'altra stirpe di maestri d'ascia molto noti a Marina di Cassano. Giovan Battista De Rosa è un nome che spicca per la costruzione di decine di tartane e "polacche" in quel periodo, contribuendo significativamente al traffico mercantile del Regno di Napoli.
Il periodo d'oro e le imbarcazioni storiche
Il XIX secolo è stato il culmine della cantieristica navale a Marina di Cassano. In questo periodo, i cantieri di Piano di Sorrento erano in competizione diretta con quelli di Savona e Sestri Ponente, grazie alla costruzione di velieri di alta qualità.
 * Le "Polacche": queste imbarcazioni a vela erano il fiore all'occhiello dei cantieri carottesi. Erano navi veloci, ma in grado di trasportare grandi quantità di merci, tanto da essere noleggiate anche dai mercanti di Ancona per i loro commerci nel Mediterraneo. La loro costruzione era così apprezzata che si diceva fossero "costruite come al Nord", sinonimo di grande qualità e robustezza.
 * I "Gozzi sorrentini": nati come piccole imbarcazioni da pesca, i gozzi sono l'emblema dell'arte marinaresca locale. Originariamente a remi o a vela, furono poi motorizzati a partire dagli anni '40, spesso con motori di recupero.
La transizione e la situazione attuale
Con l'avvento della navigazione a vapore e dei moderni materiali da costruzione, l'industria navale tradizionale subì un declino. Tuttavia, l'eredità non è andata perduta. La maggior parte dei cantieri storici si è riconvertita in aziende specializzate in:
 * Manutenzione e restauro: molte officine oggi si occupano del restauro di imbarcazioni d'epoca e della manutenzione di quelle moderne, preservando il patrimonio nautico.
 * Costruzione di piccole imbarcazioni artigianali: la tradizione dei gozzi sorrentini in legno continua a vivere, e alcuni cantieri si dedicano ancora alla loro costruzione, unendo il fascino del passato con le esigenze del presente.


punta campanella e il tempio di Minerva

La storia del Tempio di Minerva a Punta Campanella è un intreccio affascinante di fonti letterarie, scoperte archeologiche e tradizioni popolari che ne attestano l'importanza nel corso dei millenni.
​Le Fonti Storiche e Letterarie
​La testimonianza più antica e autorevole sull'esistenza del tempio si trova nelle opere di Strabone, geografo e storico greco vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Nelle sue "Geografia", Strabone menziona un santuario dedicato ad Atena, la dea greca della sapienza e della guerra, fondato secondo la leggenda da Ulisse in un luogo noto come "Promontorium Athenaeum". L'identificazione del tempio con la figura di Ulisse non è solo un mito, ma un'espressione del profondo legame che i Greci sentivano con il mare e la navigazione, affidando la loro protezione a una divinità.
​Anche lo storico romano Tito Livio fa riferimento a questo tempio. Egli racconta che nel 172 a.C., il collegio dei decemviri a Roma decretò che, per espiare alcuni prodigi, si dovessero compiere sacrifici non solo sul Campidoglio, ma anche nel "templum Minervae in Campania". Questo dato conferma la rilevanza del sito anche in epoca romana e la sua integrazione nei riti religiosi dell'impero.
​Il tempio era talmente famoso che la sua fama perdurò per secoli, tanto che anche Giovanni Boccaccio, nel suo "Decameron" (V, 6), si riferisce al tratto di mare antistante come "marina della Minerva".
​Le Scoperte Archeologiche
​Sebbene i resti strutturali del tempio siano limitati, l'archeologia ha fornito prove concrete della sua esistenza e della sua lunga frequentazione.
La scoperta più significativa è un'epigrafe rupestre in lingua osca, risalente al III-II secolo a.C., rinvenuta dall'archeologo Mario Russo nel 1985. L'iscrizione menziona "tre Meddices Minervii", un'espressione osca che si riferisce a dei magistrati di Minerva incaricati della costruzione di una scala d'accesso al santuario. Questa scoperta ha confermato in modo inequivocabile l'esistenza del tempio e il suo utilizzo anche da parte delle popolazioni italiche locali, come i Sanniti, che avevano conquistato la zona.
Gli scavi archeologici e i reperti di superficie hanno portato alla luce numerosi frammenti di ceramica e terrecotte figurate, risalenti dal VI secolo a.C. fino al II secolo a.C. Molti di questi reperti, tra cui statuette di divinità, erano probabilmente oggetti votivi, offerti dai fedeli per propiziare la navigazione. Tra i ritrovamenti, vi sono anche frammenti di sculture che raffigurano una figura femminile con elmo frigio e uno scudo, identificata come la dea Atena/Minerva.

Sebbene la posizione esatta del santuario sia ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi, i ruderi visibili, come le fondazioni e le tracce di muratura, si trovano nei pressi e, in alcuni casi, sotto la base della torre costiera. Si ritiene che il tempio fosse orientato verso il mare, a sottolineare la sua funzione di punto di riferimento e protezione per i marinai.
​La Sovrapposizione delle Epoche
​Il sito di Punta Campanella è un palinsesto storico, dove ogni epoca ha lasciato il suo segno. Il tempio greco-romano è stato soppiantato, nel tempo, da una serie di strutture difensive. La torre attuale, costruita in epoca vicereale (XIV secolo), poggia sulle fondamenta di una precedente torre angioina, che a sua volta ha inglobato i resti del tempio. La celebre campana che dava il nome al promontorio, usata per segnalare l'arrivo dei pirati saraceni, simboleggia la trasformazione del luogo da spazio sacro a baluardo militare. Tuttavia, il nome "Punta Campanella" non ha cancellato il passato glorioso, ma lo ha arricchito di un'ulteriore stratificazione storica, che continua ad affascinare chiunque visiti questo luogo sospeso tra mito e realtà.